Duemila anni di storia
L’idea del marmo come materiale prezioso, nobile, che ci affascina per il suo candore e per la sua lucentezza, nasce con il grande teorico del neoclassicismo, Johann Joachim Winckelmann, che nella sua Storia dell’arte nell’antichità riteneva che la perfezione derivasse dall’armonia delle forme, e il colore in tutto ciò avesse un ruolo marginale: anzi, poiché il bianco è il colore che respinge tutti gli altri, per Winckelmann era proprio il bianco il colore della perfezione.
Il grande storico dell’arte tedesco non poteva sapere che in realtà gli antichi creavano le loro opere in marmo con lo scopo di colorarle, visto che l’idea di bellezza, nell’antichità classica, era diversa rispetto a quella che si impose durante il neoclassicismo: per gli antichi un’opera era tanto più bella quanto più s’avvicinava al naturale, e poiché la natura è ricca di colori, in Grecia e a Roma i marmi venivano colorati.
I colori poi sono andati perduti nel tempo, e quando i primi artisti interessati alle opere antiche, a partire dal Rinascimento, le rinvenivano, le vedevano prive del colore: e si pensava, dunque, che anche gli antichi greci e romani lasciassero il biancore del marmo a vista. Questa idea, dunque, ha in qualche modo condizionato il nostro rapporto col marmo, e anche oggi, se pensiamo a un’opera d’arte preziosa e bella, quasi naturale pensare a una scultura di marmo.
Il marmo delle Alpi Apuane, il marmo di Carrara, fu utilizzato per la prima volta dai romani, che cominciarono a ad estrarre il marmo dalle cave apuane dopo la definitiva sconfitta dei Liguri Apuani, nel 155 a.C., e pochi anni dopo, a seguito della conquista della Grecia, il marmo cominciò a essere impiegato anche per la produzione di opere d’arte: lo troviamo per la prima volta in un grande monumento nella Piramide Cestia, ma la vera fioritura si avrà in età imperiale. È questa l’epoca, ad esempio, dei grandi archi di trionfo o di opere come la Colonna Traiana.
Dopo la caduta dell’Impero Romano cessò anche progressivamente l'estrazione delle cave di Carrara (nell’alto Medioevo infatti si preferì adoperare il marmo degli antichi edifici e delle antiche opere come materiale da costruzione, invece che estrarne di nuovo): solo a partire dall’XI secolo, con la costruzione delle grandi chiese romaniche in Toscana (si pensi al Duomo di Pisa o a San Miniato al Monte a Firenze), il marmo di Carrara conobbe una nuova vita.
Una vita poi continuata ininterrottamente, passando attraverso grandi momenti: le opere di Nicola e Giovanni Pisano, il Rinascimento con i capolavori di Michelangelo, che si recò spesso di persona alle cave di Carrara, talvolta anche in maniera avventurosa (la prima volta fu nell’autunno del 1497, quando si trovò a dover scegliere i marmi per la Pietà Vaticana, e le condizioni meteo erano sfavorevoli), quelli dei grandi artisti della Firenze del Cinquecento, le meraviglie degli artisti del Barocco (su tutti Gian Lorenzo Bernini) e del tardo barocco (il famoso Cristo velato di Giuseppe Sammartino), fino ad arrivare all’età neoclassica, quando a Carrara si affermò anche una valente scuola artistica locale che esportava opere in tutto il mondo (si pensi, ad esempio, alla Musa della storia di Carlo Franzoni che tutt'ora decora Campidoglio di Washington), e all’epoca del fascismo, quando il marmo tornò nuovamente di moda per celebrare il regime con opere come il Foro Italico, progettato peraltro da un architetto carrarese, Enrico Del Debbio. Insomma, non c’è epoca che non abbia una sua opera iconica in marmo apuano.
Oggi il marmo di Carrara viene ampiamente impiegato nella costruzione di edifici che celebrano i nuovi poteri economici (si pensi ai grattacieli che sorgono negli Stati Uniti o nei paesi del Golfo, che ci sembrano quasi incompleti senza grandi hall con rivestimenti marmorei), e ancora artisti internazionali, come Maurizio Cattelan o Damien Hirst, continuano a prediligere il marmo come materiale per scrivere grandi pagine di storia dell’arte.